
La civiltà nuragica
Per dovere di cronaca segnalo altri componenti di questi popoli: Akawasa (Achei), Thursha (Etruschi), Sakalasa (Siculi), e Wasasha (Corsi). Degli Shardana si sa che erano molto aggressivi e che razziarono il Mediterraneo su navi da guerra. Avrebbero un’origine anatolica perché quegli uomini che usano uno scudo tondo e un elmo provvisto di corna sono rappresentati nei bronzetti e il loro nome ha la stessa radice “srdn” da cui deriva l’ethnos dei Sardi e che si trova incisa sulla “stele di Nora” dell’VIII a.C.
Nell’Età del Bronzo il quadro delle primitive culture sarde, come illustrerò più avanti, si trasforma completamente rispetto al passato.[1] Su tutta l'isola sorgono migliaia di nuraghi, costruiti con possenti blocchi di pietra. Queste ciclopiche torri rotonde caratterizzano il paesaggio della Sardegna centrale, immagine di un mondo primordiale in cui i nuraghi sorgono all'improvviso come enormi secchi di pietra capovolti dalla mano di un gigante. L'archeologia ha già ampiamente confermato la validità del racconto di Diodoro a proposito della magnificenza dell'architettura protosarda,[2] tanto mirabile da essere attribuita all'arte geniale di Dedalo, chiamato in Sardegna ora da Aristeo, ora da Iolao.
Nel 1800 e nei primi anni del 1900 erano piuttosto accese le discussioni sul significato e sulla funzione dei nuraghi. Dopo gli scavi archeologici di Taramelli, le indagini del Lilliu e le numerose ricerche topografiche non ci sono più dubbi sul loro ruolo di edifici fortificati. Per la loro eccezionale monumentalità si differenziano non solo dalle abitazioni del villaggio ma anche dai templi e dagli edifici sepolcrali.[3] Ancora oggi, dopo 3500 anni, i loro ruderi sono grandiosi e suggestivi: sono le più possenti, e tecnicamente le più perfette, costruzioni megalitiche d'Europa e di tutta l'area del Mediterraneo occidentale...... (Da SHRDN Signori del mare e del metallo)